Arrivano da terre più o meno lontane, da poco sbarcati con una nave da crociera o giunti in taxi da aeroporto e stazione, in testa un cappello di paglia, addosso una qualche improbabile maglietta di Maradona, tra le mani una moderna action cam e, solo di rado, un aggeggio al collo con l’audioguida.
Resteranno giusto qualche ora, una sosta fugace, in cerca di un affascinante scenario di degrado un po’ retrò, costruito su misura per il loro turismo esperienziale. Una vera e propria proiezione di un film che sognavano di vedere.
Va in onda: Napoli Luna Park.
Napoli, città di contrasti, di tradizioni secolari e di bellezza grezza e indomita, ormai diventata un palcoscenico dove ogni angolo si trasforma in un set cinematografico per turisti in cerca di una “scenografia autentica”.
Ma cosa accade quando la realtà di questa città millenaria, con le sue strade affollate e i colori vivi della vita quotidiana, si mescola all’invasione irruenta dei visitatori, alle manie da selfie e agli occhi affamati di Instagram?
A me sembra sempre di più un parco giochi, un teatrino dove gli spettatori arrivano per assistere a una ormai omologata e innaturale messa in scena, forzata, ma adeguata al pubblico e al passo con i tempi.
Cibo, cibo ovunque, artisti di strada più o meno improvvisati, il culto di Maradona pe tutt part, cibo, ristoratori e pizzaioli ormai assurti a vere e proprie celebrità, Bienbì dai nomi improbabili, rovine della festa scudetto a cui far visita, Kvara e Osimhen, Maradona con i capelli di Osimhen, lo Spritz inspiegabilmente trasformato in un prodotto tipico della tradizione enogastronomica partenopea, ancora cibo, i cuori con le scritte, modelle che fanno shooting pe' tutt part, un altro Spritz a n’euro, un altro Bienbì, la limonata a cosce aperte, la pizza con la sfogliatella nel cornicione, il cornicione con la pizza nella sfogliatella, la pizza fritta, la fritta e basta, fritta, e basta!
La mia raccolta fotografica, “Napoli Luna Park”, con un mix di ironia e denuncia, vuole raccontare questa Napoli turistica che si è trasformata negli ultimi anni sotto l’onda di un’affluenza sempre crescente.
La famosa e cara tradizione non si intreccia più con la quotidianità e l’identità di un popolo, ma con migliaia di volti e occhi in cerca di un panorama perfetto o di qualche elemento forzatamente folkloristico da immortalare, sotto gli occhi increduli di qualche anziana signora affacciata alla finestrella del suo basso, che osserva questa assurda e repentina trasformazione.
Quella stessa signora è la madre di un Pasquale o di un Ciro qualsiasi, un ex scippatore precario che oggi è entrato a tempo indeterminato come venditore di “aria di Napoli in bottiglia”, con una bancarella all’incrocio tra San Biagio dei Librai e San Gregorio Armeno, o magari fa fare il giretto in barca ai turisti dalla rotonda di via Nazario Sauro a Castel dell’Ovo.
Non avrà trovato, diciamo, la sua strada, ma come diranno in molti: “almeno è stato sottratto dalla strada”.
Scattando e osservando queste immagini, mi sono venute in mente alcune domande a cui trovo difficoltà a rispondere:
cosa siamo disposti a sacrificare per fare spazio a chi viene da lontano?
Questa perdita di identità vale la costante riduzione di fenomeni di microcriminalità?
Siamo disposti ad accettare una Napoli meno autentica, ma più evoluta, cosmopolita e soprattutto sicura?
Una città dove oggi chi ha la pelle di un altro colore non è più soltanto l’immigrato a cui dare ordini con verbi all’infinito, una città che ha imparato a parlare inglese, a migliorare il proprio senso civico, ad accettare i pagamenti con carta, persino a indossare il casco.
Il mio lavoro è una piccola provocazione, un invito a osservare la città con occhi nuovi, con la consapevolezza che Napoli è, sì, una destinazione turistica di straordinario fascino, ma anche una comunità che lotta ogni giorno per mantenere la sua identità in un mondo sempre più globalizzato e omologato. Ho voluto realizzarlo con uno stile cinematografico, perché “Napoli Luna Park” me lo immagino come uno di quei film sensazionalistici e manieristi; un capolavoro per lo spettatore medio, un’accozzaglia di stereotipi per i più critici, un grottesco spunto di osservazione per quelli ancora più critici.
Non è solo un reportage: è una riflessione sull’evoluzione/involuzione della città e sullo scontro tra la sua anima popolare e la realtà di un turismo invadente, che spesso fatica a cogliere l’essenza autentica di Napoli, probabilmente ormai cancellata.
In basso una selezione di 25 immagini, l'intera raccolta -> qui.
Stampe disponibili su richiesta.